30 Maggio 2015 -- A Napoli è stato prima calciatore e poi allenatore. Da giocatore vanta 253 presenze (14esimo azzurro di sempre) da allenatore 306 panchine totali e 237 in campionato, ancor oggi record assoluto. Ma non bastano i numeri a scandire la sua epopea.
Quando parlava di se stesso diceva “Mi sento più napoletano che argentino”. E da napoletano se n’è andato oggi a 89 anni. Nato ad Avellaneda e cresciuto col mito del River Plate negli occhi, arrivò da noi nell’Italia del dopoguerra. Lo chiamavano il “Petisso” che in argentino significa “piccolino”, per la sua statura. Ma nessuno al tempo poteva mai immaginare quanto un uomo così piccolo potesse scrivere una storia tanto grande.
Di Napoli si innamorò subito, tanto da trascorrerci anche il viaggio di nozze con la adorata moglie Ornella. E cominciò la sua avventura in azzurro, prima da calciatore nell’Era del grande Monzeglio e poi da allenatore conquistando in azzurro due storiche promozioni in A e vincendo la Coppa Italia nel 1962.
Pesaola non era solo calcio, ma anche letteratura. Discuteva come un saggio, amava le parabole filosofiche. Introdusse l’eloquenza applicata al pallone con un coinvolgente gusto per l’ironia.
I suoi proverbi divennero famosissimi, le sue iperboli sono ancora nel nostro immaginario, il suo cappotto di cammello fu amuleto e simbolo del mito. Lo scudetto da tecnico lo conquistò con la Fiorentina ed ancora oggi nel riflesso dell’Arno lo ricordano come un mezzo miracolo. Ma in fondo all’anima c’è sempre stato il sogno di vincere al Napoli. Eppure il suo trionfo più grande non è scritto sugli almanacchi ma è riconosciuto dalla gente. Per una salvezza che valse quanto un tricolore, nel suo ultimo anno da allenatore. Subentrò a Giacomini nella stagione 1982/83 e tornò a sedersi in panchina al San Paolo in un disperato Napoli-Genoa. Quasi al 90esimo Ferrario andò a tirare il rigore della vita. Pesaola si voltò, non ebbe il coraggio di guardare. Stretto nel suo cappotto di cammello, baciando un crocifisso appeso al collo, col timore che troppo amore gli facesse scoppiare il cuore. Il San Paolo urlò, lui pianse di gioia. Era così il Petisso. Anche oggi che ci ha lasciato un vuoto che sembra un’immensità. Ed una storia da raccontare per l’eternità.
Il Presidente Aurelio De Laurentiis, i dirigenti, l’allenatore, lo staff tecnico, la squadra e tutta la SSC Napoli partecipano commossi al dolore della famiglia per la scomparsa del grande Bruno Pesaola, il mitico “Petisso” indimenticabile monumento della storia azzurra.
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