12 Marzo 2009 -- Lo si racconta taciturno e ombroso, invece nel suo primo giorno azzurro Roberto Donadoni si mostra solo ironico e concreto. Dispensa più sorrisi che promesse, insomma. Non nasconde e non si nasconde le difficoltà «d’una squadra giovane con i problemi d’una squadra giovane», ma guarda avanti con fiducia. E subito chiarisce quel che chiederà al suo nuovo gruppo: «Correre, lottare, sbagliare anche, ma provare». Sarà questo il suo motto scacciacrisi. Che poi, probabilmente, spiega, è la sintesi degli insegnamenti dei suoi quattro grandi maestri: «Liedholm, Sacchi, Capello e il brasiliano Parreira, che ebbi allenatore a New York quand’ero ai Metrostars», ricorda il nuovo allenatore azzurro. Il quale chiarisce subito una cosa: «Al Napoli ho detto subito sì per due ragioni. Perchè ho letto nelle parole di De Laurentiis tanta fiducia in me e perché se metteste in fila tutti gli allenatori non ne trovereste uno che rifiuterebbe questo club e questa città».
Va subito al sodo Donadoni, che sembra non stare nella pelle per aver ritrovato tuta e prato dopo l’amarezza della Nazionale. E dopo quell’esperienza, racconta, nulla lo spaventa. «Non mi spaventai allora, quando ereditai da Lippi un’Italia ancora fresca di trionfo al Mondiale di Germania e per me c’erano solo rischi, figuriamoci se mi spavento adesso», dice. Ma il passato lo scaccia via immediatamente. «Non conta. Non mi sono mai fermato a guardare indietro. Per me contano solo il presente ed il futuro. Conta il Napoli. Questo Napoli che d’ora in avanti non dovrà avere più paura». E allora, non uno, ma due anni di contratto. Non un milione, ma un milione e mezzo a stagione e uno staff nuovo e tutto suo. Il segno d’una volontà di stare insieme a lungo, non v’è dubbio.
Ma intanto che cosa chiede il club al nuovo allenatore? «Intanto - replica Donadoni - il Napoli non mi ha chiesto proprio niente. Se non, è evidente, di invertire questo trend di risultati negativi e migliorare la classifica quanto più si può. In quanto al futuro, poi, non si possono negare le ambizioni di noi tutti, club, tecnico, squadra e pubblico di lottare per traguardi importanti». «Importanti», dice. Non va al di là di questo. Non è il caso e non è il momento di guardare troppo in alto. «Ora non ho pensieri che per la Reggina. L’ho vista domenica scorsa - solo un caso? - e meritava di vincere. La troveremo motivatissima perché la gara col Napoli sarà per i calabresi una delle ultime spiagge per la salvezza. Sarà una gara tosta»
Già. E da affrontare come? Con quale formazione? Con quale disegno? Curiosità legittime, ma legittima anche la replica dell’allenatore: «Sono appena arrivato, lasciatemi capire. Voglio conoscere la squadra e far tesoro anche di quanto mi dirà Reja che l’ha allenata sino a ieri». L’orientamento, comunque, è quello di non far rivoluzioni. «Proprio no», conferma Donadoni. «Perché di tutto può aver bisogno questa squadra, tranne che di uno scienziato che arriva e stravolge tutto. Significherebbe solo creare confusione, confondere le idee e magari allontanare la soluzione dei problemi». Intanto, primo allenamento e prime indicazioni. Donadoni è un cultore del 4-3-3, ma contro la Reggina, per quel poco che s’è visto ieri a Castelvolturno, il Napoli potrebbe giocare tre difensori, quattro centrocampisti e Hamsik alle spalle di Lavezzi e Zalayeta.
Francesco Marolda
Il Mattino