|
03 Settembre 2008 -- Non è ancora nota la data in cui verrà discussa, davanti al tribunale sportivo internazionale di Losanna, la causa che vede opposta la Wada, l’organismo antidoping internazionale e Daniele Mannini. Il calciatore è accusato di doping perché si presentò al controllo con 35 minuti di ritardo quand’era al Brescia. Per la giustizia sportiva italiana la vicenda s’è conclusa con due settimane di squalifica ma l’organo internazionale di controllo antidoping ha avanzato una richiesta di squalifica di due anni. È coinvolto nella vicenda, con la stessa accusa, anche l’ex compagno di Mannini, Possanzini. I due, al termine di una partita finita male per il Brescia, erano stati convocati nello spogliatoio, assieme al resto della squadra, dal presidente e dall’allenatore. Di qui il ritardo. «La richiesta della Wada - ha commentato l’avvocato Mattia Grassani - preoccupa, ma siamo sicuri di poter dimostrare davanti al Tribunale di Losanna la non colpevolezza. Ciò che non può passare è che un calciatore poi negativo al test antidoping sia trattato invece come un giocatore dopato». La linea difensiva del club azzurro si baserà sulla certezza che il giocatore non è risultato positivo al controllo. In quella occasione, infatti, fu effettuato un test incrociato sangue-urine che ha dato risultati negativi. Mannini, dunque, non può essere accusato di aver usato sostanze proibite, perché i test non ne hanno rivelate.