"Non ho chiesto scusa" El pibe de oro, rettifica le dichiarazioni riportate dal Sun in Inghilterra.
05 Febbraio 2008 -- Maradona che chiedeva scusa agli inglesi era come George Best che smetteva di bere, una notizia di poche ore. Tutti ci siamo meravigliati quando il britannico Sun ha scritto delle sue scuse per quel gol di mano all’Inghilterra, un’abiura che Maradona non poteva fare. Perché lui è un ossimoro, i due gol all’Inghilterra un autoritratto, e il suo era un gesto dada di rara bellezza seguito dalla frase «È stata la mano di Dio» magnifica quanto il gol, sul quale si può tornare solo per compiacersene, al massimo per ridere della beffa. Ma anche perché quella partita era altro, non era solo futbol.
Lo abbiamo visto vincere, piangere, cadere, ingrassare. Non avremmo mai voluto vederlo pentito. Uno che ha sempre giocato mancino non può pentirsi. I suoi gesti non sono ritrattabili perché la partita del 22 giugno 1986 tra Argentina e Inghilterra, quarti finale del mondiale messicano, era la possibilità da parte dei sudamericani di riscattare la guerra Falkland/Malvinas. E lui ci riuscì. Usando lo sport come rivincita, proprio come insegnano i film americani. Non poteva pentirsi perché il suo gol di rapina diceva «Lo avete fatto voi», come Picasso ai nazisti con Guernica, e il secondo gol, invece, dimostrava la superiorità di Maradona, uno che esiste per la gloria di Dio. Un irregolare può cambiare vita ma non deve pentirsi. Dietro quel gol di mano c’è l’illusione di non aver combattuto invano dei reduci che ancora aspettano la pensione di guerra, e protestano sotto le finestre della Casa Rosada a Buenos Aires. Dentro quel gol c’è la vita e le sue facce, bene/male, quella partita è perfetta, Maradona prima segna violando le regole, usando una carezza in un pugno, poi le ristabilisce con un altro gol: chitarra di Hendrix, tromba di Armstrong, parole di Lennon, improvvisata poesia bevendo calciatori inglesi.
C’è un episodio che racconta l’importanza di quei gol. La sera a cena, post-partita, Maradona era con Eduardo Galeano e Osvaldo Soriano: il primo entusiasta, il secondo si finse arrabbiato perché gli inglesi il giorno dopo avrebbero accusato gli argentini di aver rubato. Maradona che ci teneva al giudizio dello scrittore, prese una arancia dal tavolo e si mise a palleggiare sotto gli occhi di tutti, facendola rimbalzare dai piedi alla testa, poi la bloccò e chiese: «Quante volte l’ho toccata con la mano?». Risposta: «Mai». Lui, sorridendo: «Due volte». Era ed è un mago, Maradona, un Houdini che è riuscito a sfuggire persino alla morte, figuriamoci agli occhi di un arbitro.
Il suo gesto parla alla furbizia di tutti noi, alla voglia di uscire dalle regole per un attimo a fin di bene, di scavalcare e raggiungere quello che sembra lontano. Si fosse pentito sul serio avrebbe seppellito il suo genio per diventare uno dei tanti giocatori, politici, attori, scrittori: giacca, cravatta, conto in banca, pentimento. L’avesse fatto davvero, Maradona ci avrebbe lasciati senza parole. Avrebbe tradito se stesso, e con lui tutti noi. No, non poteva deluderci, non lo ha fatto. Con la smentita alla radio argentina La Red: «Sono stato tradotto male, hanno cambiato il contenuto dell’intervista»; e poi dalle pagine di El Clarin prendendosela con i suoi compagni di squadra - Olarticoechea, Burruchaga e Giusti - che erano stati facili giudici. Con queste dichiarazioni ogni cosa torna a suo posto: gli inglesi con la loro sconfitta, noi in macerante attesa di gesti simili, quella partita nei quadri del tempo: senza macchie di riletture, con Maradona nella parte dello scapestrato di sempre.
A cura di Marco Ciriello (ilMattino)
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