Il razzismo ignorato da Mancini L’allenatore dell’Inter, Mancini, ha perso un’eccellente occasione per starsene zitto.
20 Ottobre 2007 -- Prima di mettersi in viaggio per Reggio Calabria, profondo Sud, ha commentato la chiusura di una metà della curva dello stadio Meazza per la partita con il Genoa, decisa dal giudice sportivo perché in quel settore, durante Inter-Napoli, sono stati esposti striscioni offensivi come «Ciao colerosi» e «Napoli fogna d’Italia», ovviamente accompagnati da insulti. L’agenzia Ansa ha diffuso queste dichiarazioni di Mancini: «Mi sembra che accadano cose più gravi negli stadi. Non è razzismo, le prese in giro ci sono sempre state, credo che sia una delle cose minori che accadono nel calcio. Sono sfottò che esistono da quando gioco. Non sono cose belle da vedere, sono d’accordo, ma non sono nemmeno così gravi da penalizzare tifosi che non sono coinvolti». Ma dov’era Mancini, quella sera, per dire che si trattava di banali sfottò e non di vergognosi episodi di razzismo? L’Inter ha la sindrome del complotto: vede ombre anche nella chiara ed esemplare sentenza del giudice sportivo Tosel. Mancini -che nel caso specifico ha un’aggravante: la moglie napoletana- rilegga i testi di quegli striscioni e riascolti i cori partiti dagli ultrà della curva nord. Poi chieda scusa.
A cura di Francesco De Luca
Fonte: ilMattino.
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