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De Laurentiis a tutto campo
Il presidente del Napoli intervistato dal direttore del Corriere dello Sport parla di un calcio da riformare

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27 Dicembre 2006 -- «Io sono fatto così, se decido di prendere in mano un progetto lo faccio con impegno e passione. Pochi giorni fa eravamo con la testa in «Manuale d’amore 2 - capitoli successivi», che uscirà a metà gennaio, e alle 19,30 ho staccato tutto per chiamare la squadra e parlarci. Era l’ultimo impegno prenatalizio, a quella telefonata io comunque non rinuncio mai».

Aurelio De Laurentiis la sua avventura alla presidenza del Napoli l’ha presa così: con l’eccitazione positiva del neofita e la mentalità illuminata dell’imprenditore. E con quel cuore da tifoso che batte nel modo giusto, senza aritmie pericolose. «Se ragionassi solo d’istinto chissà quante volte avrei dovuto ricominciare da capo: quando mi arrivavano sollecitazioni negative per Calaiò, e poi per Reja, e ora per Bucchi. Invece io aspetto: nel calcio ho imparato ad aspettare che le cose maturino». Due ore a tu per tu con il presidente del Napoli: per conoscerlo da vicino, capire come vive il suo ruolo, come “legge” il calcio, a cosa ambisce con il Napoli. Un imprenditore con idee chiare, ma anche con l’intelligenza di sgombrare il campo da ingerenze (sue ingerenze) quando si scende sul piano tecnico.

«Io rispetto i ruoli. E come nel cinema non faccio parlare nessuno perché è nel mio mondo, nelle cose di campo non mi azzardo. Parla Marino ». Un modo semplice per distinguere responsabilità e ruoli. E per rispettarle. «Natale a New York» spopola nelle sale ( «Da soli, e al primo posto, abbiamo fatto più del secondo, terzo, quarto e quinto messi insieme: non è un bel segnale per il cinema ma è un dato...» ). Un supercast - da Scamarcio alla Bellucci, da Volo alla Bobulova, da Rubini a Albanese, da Verdone alla Pataky a Bisio - è pronto a conquistare altri schermi con «Manuale d’Amore 2: capitoli successivi». Ma c’è un film che Aurelio De Laurentiis sogna, che abbia per soggetto il calcio, e che ancora non ha prodotto. E c’è un altro sogno che per scaramanzia non dice: il quel sogno c’è il suo Napoli. «Ma di A non parlo finché non ci arrivo».
Il timone del Napoli dalla C alla B. Ora nuovi progetti, nuovi obiettivi da perseguire. Due anni e mezzo di calcio cosa le hanno lasciato?

«Il mio bilancio, alla fine di questo 2006, è positivo. Ho appreso molto, ho assunto questo incarico mettendoci dentro un impegno, direi, universitario. Ho cercato di capire, di imparare: sul piano tecnico, del gioco, ne sa¬pevo poco. Insomma, mi sono veramente risentito come quando ho cominciato a fare cinema. Ricordo una partenza in salita anche lì ed è lì che ho imparato ad affrontare le difficoltà come un bulldozer. Nel calcio uguale. Salire dalla C mi ha fatto capire tante cose: gli sputi a Martina, le gioie, le Leghe così diverse tra loro... Insomma io alle gavette sono abituato. Non faccio il presidente per farlo».

E... perché?
«Per capire cosa non funzionava e cosa non funziona. Perché dopo calciopoli pensavo si dovessero tirare le somme. Invece c’è un rallentamento quasi fatalistico e questo mi preoccupa ».

Molto?
«Sì, perché nessuno più di noi che ci siamo dentro dovrebbe stabilire le regole. Invece sento parlare politici, istituzioni che non hanno niente a che vedere con le Leghe. Questo mi lascia sconcertato e spiazzato. Sono passati otto mesi, più o meno, dal primo segnale dello scandalo. Beh, per me si è fatto poco. L’unica preoccupazione è stato quella di mandare avanti il campionato. Anzi, i campionati ».

Lei cosa avrebbe fatto, presidente?
«Bisognava fermarsi. Fermarsi e dire: rifacciamo le regole. Studiamo gli inglesi, gli spagnoli, l’Nba e riformiamo. Trasformiamo la sfortuna in una fortuna. Invece ci si sta dimenticando di calciopoli e i campionati che abbiamo davanti, parlo di quelli di A e B, sono assolutamente sbilanciati: quello di B vale quello di A».

La soluzione lei ce l’ha in mente. Ce la dica.

« Fermarsi, ragionare, rimischiare le carte, guardare seriamente le capacità di bilancio dei club, mandare in pensione definitivamente il mecenatismo che dal 1996 - dal decreto Veltroni con cui le società sono diventate a scopo di lucro - non ha più ragione di esistere. Chi ha i mezzi giochi in A, chi non può partecipi a un altro campionato».

Quindi niente retrocessioni?
« Esatto. Le squadre che rappresentano grandi città, grandi bacini, devono stare in A: a parte la Juve penso per esempio al Napoli, al Genoa, al Bologna, poi questo andrebbe visto nel dettaglio. Superando il campanilismo che in Italia è un ostacolo e che invece deve magari continuare ad alimentare i vivai. Poi la B, le C la D, devono formare giocatori, dirigenti e tecnici per la A. Ma non è quello che la Formula 1 ha fatto con la 2, la 3 e i go-kart? Chiaramente questi altri campionati dovrebbero avere chiaramente altri costi, accessibili. Se no è inutile, se no si generano situazioni di sofferenza anche lì. Già accade... E la Figc di Carraro mi pare che non si sia mai interessata di queste cose»
Insomma, la formula sembra fatta. Girone unico, play off.

Ci spiega?
«Io penso all’Nba. Sì l’idea di una Nba del calcio mi piace parecchio. Una Nba europea. Perché diciamo anche che noi siamo Europa ma non ci sentiamo Stati Uniti d’Europa. E allora, immaginiamoci un grande campionato europeo suddiviso per gironi, dei play off che negli ultimi tre mesi della stagione mettano di fronte le otto-dieci squadre migliori d’Europa. Allora sì che lo scudetto diventerebbe una cosa straordinaria. E apriremmo le porte a uno stadio virtuale i cui numeri sono inimmaginabili. Pensiamo a questo anziché fermarsi a vecchi modi di ragionare: Euro 2012, i signori degli stadi pronti a costruire... » .

Presidente, la sua è una visione molto americana: affascinante, ma meritevole di due obiezioni o chiarimenti, faccia lei. L’assenza, in Italia, di un legame molto forte tra scuola e sport agonistico, che negli States è alla base di tutto, e questo concetto di stadio virtuale che dovrebbe aggiungersi e non sostituire lo stadio reale. E’ così?

« Allora, procediamo per gradi. Visione americana? Sì, è vero, come è vero che talvolta gli americani non sbagliano. Il legame con la scuola? Sono un fautore di questo. A Napoli mi capita di vedere ragazzini che giocano a calcio in strada e mi salutano: “Uè, presidè!“. Uno ha la maglia dell’Inter, uno della Juve. Capisce dove va a finire l’identificazione con la squadra della città? Io li guardo sorrido e bonariamente dico loro: “ma che fate vestiti così?“. Poi lo stadio virtuale...».

Ecco, questo è interessante.
«Cominciamo con il dire che il San Paolo pieno ti dà un’emozione unica, che io non ho provato nemmeno a Berlino quando l’Italia ha vinto il Mondiale. Continuiamo spiegando anche che il tifoso da stadio è particolare, sente il diritto di poter fare qualsiasi cosa: venire e caricarti se va tutto bene, se va un po’ meno bene, non presentarsi se non fai risultati o se magari c’è di mezzo il Natale. Non capisco perché dovremmo negare la stessa libertà a chi non può venire allo stadio perché lavora, perché ha impegni familiari, perché è all’estero. Ditemi voi se una superlega europea con tre mesi di play off clamorosi e 7-800.000 persone che vedono una partita pagando 0,50 centesimi di euro non rappresenti un’occasione data a fronte di un introito importante a cui perché dovremmo rinunciare. Certe volte mi sembra che non siamo capaci di fare sistema, di risolverci le cose da soli. Se gli inglesi dalla vendita dei diritti all’estero ricavano cinque volte il nazionale perché non possiamo farlo noi? Io mi meraviglio che dentro la Lega non ci sia una struttura deputata a questo, a scandagliare il mercato estero per vendere i diritti tv delle nostre partite».

Manca un tassello. Gli arbitri. Un suo giudizio?

« Io credo sinceramente che abbiano responsabilità troppo grandi e che questo dipenda anche dal fatto che abbiano bisogno di supporti tecnici per valutare in maniera più netta, di una moviola in campo per analizzare gli episodi più in discussione».

Lei frequenta il mondo del calcio da due anni e mezzo e ha queste idee. Con quali presidenti si è potuto confrontare fino a oggi riscontrando una certa consonanza?

« No so... A fare nomi potrei dimenticare qualcuno. Posso dire che Cobolli Gigli mi sembra una persona di livello e dai ragionamenti fatti ci troviamo abbastanza allineati. Potrei dire questo anche di Moratti, dello stesso Galliani. E poi Diego ( Della Valle, ndr): lui è un imprenditore che certe regole del mercato le conosce».
Dal sistema calcio al Napoli, il suo mondo.

Qui il bilancio come è?
«Un bilancio in linea con il programma che avevamo fatto. Anzi sulla A saremmo addirittura in anticipo. Ma non ne parlo finché non ci arriviamo. Era difficile prima, con la Juve lo sarà ancora di più. Tornando al Napoli, oggi abbiamo 1800 metri quadrati tra uffici, spogliatoi, poi tre campi e una struttura alberghiera per i nostri ritiri. Abbiamo ridato vita al vivaio: oggi ci sono dodici squadre e 350 giocatori. Io al vivaio credo molto, credo che lì, almeno anche lì, il Napoli debba scovare i propri campioni. Abbiamo una squadra allievi straordinaria, Grieco all’Avellino, per esempio, lo abbiamo dato noi. Ne costruiremo altri, l’obiettivo è anche quello. Abbiamo fatto una convenzione per lo stadio che in trent’anni non era stata fatta e con il Comune stiamo mettendo a norma l’impianto secondo quanto chiede il decreto Pisanu».

Torniamo a quel concetto di stadio reale. Ha riscontrato quel calore che squadre come Napoli e Juve hanno disseminato in tutti gli stadi della B?

«E’ vero, assolutamente sì. Ho trovato un supporto straordinario anche in trasferta, non solo dai napoletani che seguivamo la squadra o da quelli che erano sul posto. Anche dagli altri tifosi, accorsi più numerosi a vederci».

Quest’anno ci sono stati anche momenti di turbativa allo stadio. Il Napoli ha pagato per questo.

«Sì, e a questo proposito vorrei dire che la responsabilità oggettiva andrebbe modificata. Se si infiltrano frange che non hanno nulla a che vedere con la tifoseria, che c’entrano i club? Farci giocare fuori è stato un provvedimento troppo duro. Certe volte penso che verso Napoli ci sia troppa pressione e attenzione negativa in questo senso».

Cosa porterà gennaio?
«Porterà quello che deciderà Marino. Tra me e lui c’è sempre stato sintonia totale. Ha competenza, conosce la piazza, la interpreta. A Udine ha fatto un lavoro straordinario che ha dato frutti duraturi nel tempo. Ci serve un esterno sinistro, uno che sappia attaccare e difendere: Savini in quel ruolo è adattato, anche se tutte le volte che ci gioca vinciamo. E allora io per scaramanzia gli dico: “non ti devi muovere da lì“».

Soddisfatto del gruppo?
«Assolutamente sì, quando dico che io e Marino siamo in sintonia è perché sappiamo aspettare. Se io avessi dato ascolto agli umori incontrollati avrei dovuto allontanare Calaiò due anni fa, Reja prima della B, ora Bucchi. Invece a Bucchi ho spiegato bene come stanno le cose: lui e il suo manager devono stare tranquilli, la sua piazza è questa. Resta con noi. Il resto del gruppo è di livello. Penso a Iezzo, il nostro portiere, napoletano, straordinario, una delle nostre certezze. E a tutti gli altri».

Chi le piacerebbe portare a Napoli?
«I giocatori li sceglie Marino. A ciascuno il suo. Poi se mi si chiede un parere sul tipo di giocatore allora dico che mi piacciono quelli che hanno la determinazione di Gattuso o che sono decisivi come Toni».

Calcio e cinema, due mondi...
«Affascinantissimi. Nel cinema puoi incidere di più sul buon risultato finale, nel calcio le variabili sono troppe».

Ma un film sul calcio?
«Mi piacerebbe, eccome. Una sorta di Billy Elliot, con il ragazzo calciatore al posto del ragazzo ballerino, contrastato dalla famiglia».

Attore? Muccino?
(sorride) «Muccino ha una grande faccia. Può fare tutto».
Da questa chiaccherata emerge un presidente carico di idee che sarebbero stravolgenti per il calcio...

«E non ho detto tutto. Io giocavo a basket da ragazzino, pensi come soffro il concetto dei tre cambi in panchina. Allergherei le porte, sono per il 12-8 più che per gli 1-0».

Un candidato per la Federazione?
«Io potenzierei la Lega».

Se viene in A la chiama la Bellucci allo stadio per la partita decisiva?
«Certo che la invito. Di Monica, più che della bellezza, mi piace parlare in termini di intelligenza, lealtà, rispetto della parola data, tutte quelità che le appartengono. E attenzione, perché ha una vena comica straordinaria».

Ci vediamo al San Paolo con la Bellucci, allora...

«Non parlo della A. Prima mi ci faccia andare. Non sa quanto mi piace questa sfida della B».

ARTICOLO TRATTO DA "IL CORRIERE DELLO SPORT"
AUTORE: Fabio Massimo Splendore