15 Ottobre 2006 -- Aveva nove anni quando scoprì di avere il diabete. Da quel momento Nicolas Amodio ogni giorno gioca la sua partita contro la malattia: «Però sono qui, a Napoli nella patria del calcio, e sono un giocatore professionista nonostante tutto. Vorrei che il mio esempio fosse un segnale per i ragazzi che scoprono di avere il diabete: lo sport non è proibito, anzi...». Ieri Amodio ha ricevuto il premio come atleta diabetico dell’anno, glielo ha assegnato l’Associazione Italiana Medici Diabetologi: non solo per le sue indubbie capacità atletiche, ma anche per il «coraggio» nel parlare liberamente della sua malattia. Non è da tutti ammettere di avere il diabete, soprattutto nello sport. I campioni veri non hanno mai avuto problemi a parlarne (da Mohammed Alì a sir Steve Redgrave olimpionico nel canottaggio in cinque diverse edizioni dei Giochi), però oggi è tutto più difficile.
In Italia ci sono almeno dieci atleti professionisti dipendenti dall’insulina, ma chiedono di restare nell’ombra per paura che il loro valore di mercato scenda: «E tra questi c’è anche un nazionale di calcio - spiega il professor Gerardo Corigliano, presidente dell’Associazione Atleti Diabetici -. Invece Amodio è un ragazzo d’oro, è sempre pronto a seguirci nelle iniziative pubbliche e a lanciare un messaggio di serenità ai diabetici». In Italia il 5% della popolazione soffre di diabete, 300mila persone sono insulinodipendenti; solo settecento, però fanno sport ad alto livello, e appena cento sono agonisti. Lo sport, invece, sarebbe fondamentale per prevenire, e anche per curare il diabete.
L’argomento verrà affrontato anche venerdì prossimo alla Mostra D’Oltremare: la dottoressa Annamaria Terracciano, esperta della materia, terrà un workshop per spiegare l’utilità dell’attività fisica per prevenire e curare le malattie metaboliche. Ma probabilmente per avvicinare i giovani diabetici allo sport sono più importanti le parole del giocatore azzurro: «È vero, forse ho fatto qualche piccolo sacrificio in più, però sono arrivato dove volevo arrivare». Fin da quando era bimbo, in Uruguay, ha imparato da solo a iniettarsi l’insulina. Tiene sotto controllo l’alimentazione e fa esami a scadenze fisse: «Paradossalmente vado incontro a una vita più serena. Sono in forma, mi alimento correttamente, faccio una vita regolare... è il massimo», sorride il nuovo «atleta diabetico dell’anno».
Certo, affrontare il calcio professionistico comporta anche qualche piccola scocciatura legata alle procedure antidoping. L’insulina è uno dei prodotti vietati, e all’inizio di ogni stagione bisogna presentare una accurata documentazione in Federazione. Anche nel caso di sorteggio per i controlli dopo partita bisogna presentare un documento dal quale si evince la dipendenza dall’insulina: «Ma si tratta di piccoli problemi burocratici facili da risolvere», taglia corto Amodio. Più complicato, invece, il rapporto con i nuovi compagni quando cambia squadra: «La prima volta che, in ritiro, tiro fuori la siringa per iniettarmi l’insulina, spesso gli altri giocatori mi guardano sconvolti. Non capiscono cosa sto facendo, sono preoccupati. Ma quando spiego il mio problema, diventa una cosa normale e nessuno ci bada più».
A cura di Paolo Barbuto
Fonte: ilMattino